L’insulina è un ormone prodotto dal pancreas che ha un ruolo fondamentale nel metabolismo cellulare. Le cellule dell’organismo ricavano l’energia di cui necessitano dagli zuccheri, soprattutto dal glucosio, la cui fonte primaria è il cibo che ingeriamo, anche se il fegato può rilasciarne una certa quantità in caso di necessità, per esempio durante un digiuno.
Nel processo di digestione, il glucosio viene immesso nella circolazione sanguigna per raggiungere i tessuti dei vari organi. L’insulina ha il compito di prelevare il glucosio dal sangue e di aiutare le cellule ad assorbirlo, per poi trasformarlo e ricavarne energia per funzionare correttamente. Quando, grazie all’insulina, il glucosio entra nelle cellule, la sua concentrazione nel sangue diminuisce e il pancreas, a sua volta, riduce la produzione dell’ormone per mantenere l’intero processo in equilibrio.
Che cosa significa “insulino-resistente”?
Quando le cellule dell’organismo non rispondono più correttamente all’azione dell’insulina si parla di insulino-resistenza. In alcuni casi, per cause che non sono ancora del tutto note, il meccanismo di risposta all’insulina è infatti alterato: le cellule non riescono più ad assorbire in modo efficace il glucosio dal sangue e di conseguenza il pancreas incrementa la produzione dell’ormone per favorire il rifornimento di zucchero ai tessuti. Finché il pancreas riesce a compensare la resistenza all’insulina con una maggiore produzione, i valori di glucosio in circolo si mantengono entro i limiti della normalità; a lungo andare, però, l’equilibrio si spezza, il pancreas non secerne più abbastanza insulina e il glucosio inizia ad accumularsi nel sangue, provocando una condizione chiamata iperglicemia.
Se non vengono prese le contromisure adeguate, la resistenza all’insulina continua ad aumentare e la concentrazione del glucosio nel sangue (chiamata glicemia) continua a crescere, peggiorando l’iperglicemia fino a portare allo sviluppo prima del prediabete e poi, in alcuni casi, del diabete di tipo 2.
Che cos’è il prediabete?
Con il termine prediabete si indica una condizione in cui la glicemia è più alta del normale, ma non raggiunge ancora livelli tali da poter diagnosticare il diabete di tipo 2.
Per verificare l’eventuale presenza di un aumento della concentrazione di glucosio nel sangue e determinarne il livello si possono effettuare diversi esami. Quello più semplice è la misurazione della glicemia a digiuno, chiamata anche glicemia basale, che si effettua tramite l’analisi del sangue prelevato dopo un digiuno di almeno 8 ore: i valori di riferimento che indicano una condizione di glicemia normale sono inferiori a 100 mg/dl, per valori compresi tra 100 e 125 mg/dl si parla di prediabete (o meglio di alterata glicemia a digiuno), mentre valori ancora più alti suggeriscono la presenza di diabete.
Un altro esame utile per individuare un’alterazione del metabolismo del glucosio e individuare il prediabete o diabete è la curva da carico orale di glucosio (test di tolleranza al glucosio orale), spesso chiamata più semplicemente curva glicemica, che permette di misurare i valori della glicemia tramite un prelievo di sangue due ore dopo l’assunzione di una soluzione contenente glucosio. In questo caso, valori della glicemia compresi tra 140 e 199 mg/dl indicano la presenza di prediabete (o meglio di ridotta tolleranza al glucosio), mentre valori più elevati sono indicativi di diabete.
Infine, il prediabete può essere individuato anche in caso di emoglobina glicata (HbA1c) compresa tra 5,7% e 6,4% (o 6-6,4% a seconda delle linee guida); per valori superiori si parla di diabete. Il test dell’emoglobina glicata individua la glicemia media nei 2-3 mesi precedenti l’esame, ma è meno sensibile rispetto agli altri.
Si può quindi affermare di trovarsi in una condizione di prediabete quando è presente almeno una di queste condizioni di disglicemia.
Il prediabete non deve essere considerato di per sé una malattia, ma è una condizione da non sottovalutare, perché aumenta il rischio di sviluppare il diabete di tipo 2 e le patologie cardiovascolari.
Insulino-resistenza e prediabete: cause e fattori di rischio
Se le cause vere e proprie rimangono ancora sconosciute, sono stati individuati alcuni fattori che aumentano in modo significativo la probabilità di sviluppare insulino-resistenza e prediabete.
Sovrappeso e obesità sono fattori di rischio maggiori; in particolare l’eccesso di grasso viscerale, concentrato sulla pancia, e che aumenta il girovita, è associato a un rischio più alto di insulino-resistenza anche nelle persone con indice di massa corporea (cioè rapporto tra peso in kg e statura in m2) nella norma. Le cause non sono chiare: una possibile ipotesi è che il grasso in eccesso localizzato sulla pancia possa indurre la secrezione di ormoni o altre sostanze in grado di provocare infiammazione, stress o cambiamenti nelle cellule che, nel tempo, contribuiscono allo sviluppo della resistenza all’insulina, del prediabete e delle malattie cardiovascolari.
Anche la sedentarietà favorisce l’insulino-resistenza, mentre una regolare attività fisica può indurre cambiamenti nell’organismo che aiutano a mantenere in equilibrio la glicemia.
Altri fattori di rischio sono:
- la familiarità per il diabete, cioè avere genitori, fratelli o sorelle con questa malattia
- la presenza di altre condizioni metaboliche, come l’ipertensione (pressione sanguigna più alta del normale) e la dislipidemia, con bassi livelli di colesterolo HDL e/o alti livelli di trigliceridi. In generale, le persone con la sindrome metabolica, cioè una combinazione di ipertensione, livelli anormali di colesterolo e girovita aumentato, hanno maggiori probabilità di sviluppare il prediabete
- età superiore a 35 anni
- aver sofferto di diabete gestazionale, una particolare forma di diabete che si manifesta nel corso della gravidanza
- una storia di malattie cardiovascolari
- avere la sindrome dell’ovaio policistico, un disturbo dell’apparato endocrino caratterizzato da irregolarità nel ciclo mestruale e anomalie nell’ovulazione, livelli elevati di androgeni nel sangue (iperandrogenismo) e cisti nelle ovaie. Può provocare infertilità in un alto numero di casi e si associa spesso all’insulino-resistenza, soprattutto (ma non solo) nelle donne con sovrappeso e obesità
- appartenere a un gruppo etnico ad alto rischio (afroamericani, latinoamericani e ispanici, nativi americani, asiatici americani e abitanti delle isole del Pacifico).
Infine, anche alcuni disordini ormonali, i disturbi del sonno (in particolare la sindrome delle apnee ostruttive) e l’assunzione di certi farmaci possono influire sullo sviluppo dell’insulino-resistenza e delle sue conseguenze.
Insulino-resistenza: come riconoscerla?
Come si scopre l’insulino-resistenza? Questa condizione non provoca sintomi visibili, motivo per cui è molto difficile accorgersi di averla fino a che non si misura la glicemia per un sospetto di prediabete o di diabete. Secondo le linee guida è opportuno controllare la glicemia con gli opportuni esami a partire dai 35 anni e anche prima nelle persone, adulti e bambini, in sovrappeso e con altri fattori di rischio.
Per l’accertamento si ricorre alla valutazione dei valori della glicemia e dell’insulinemia (ovvero la concentrazione di insulina nel sangue) a digiuno e/o al test di tolleranza al glucosio orale (la cosiddetta curva glicemica). Per avere ulteriori elementi di valutazione del livello di resistenza all’insulina può essere utile un indice matematico, l’HOMA-IR (Homeostatic Model Assessment-Insulin Resistance) che mette in relazione, con una specifica formula di calcolo, la glicemia e l’insulinemia a digiuno.
Anche il prediabete è, nella maggior parte dei casi, asintomatico: in alcuni casi possono comparire macchie scure sulla pelle delle ascelle o del collo, spesso accompagnate da piccole escrescenze cutanee (Acanthosis nigricans).
Sintomi più caratteristici si manifestano solo quando la situazione evolve verso il diabete di tipo 2: aumento della sete e della fame, necessità di urinare più spesso del normale, sensazione di stanchezza e sonnolenza, offuscamento della vista, aumento della sudorazione, intorpidimento o formicolio alle estremità, infezioni frequenti accompagnate da prurito, ferite che guariscono lentamente.
Quali sono le conseguenze dell’insulino-resistenza?
Come detto, la resistenza all’insulina può portare a una condizione di prediabete che, a sua volta, favorisce lo sviluppo del diabete mellito di tipo 2 (questa forma è talvolta indicata, impropriamente, come diabete insulino-indipendente) e delle malattie cardiovascolari.
Il passaggio, però, non è automatico: secondo alcune stime, il 70% delle persone affette da prediabete svilupperà il diabete.
È importante, però, ricordare che non solo il prediabete può regredire, ma è anche potenzialmente reversibile, cioè i valori anomali della glicemia possono tornare nel range della normalità con opportuni interventi, che riguardano principalmente la modifica dello stile di vita.
Come contrastare l’insulino resistenza e il prediabete
A differenza del prediabete, che è una condizione reversibile, l’insulino-resistenza in alcuni casi non può essere del tutto eliminata, ma la sensibilità all’ormone delle cellule può essere aumentata.
La “terapia” più efficace consiste nell’adottare uno stile di vita sano, soprattutto impostando e seguendo con costanza una dieta equilibrata e facendo regolarmente un’adeguata attività fisica.
L’esercizio fisico è molto efficace nel contrastare la resistenza all’insulina a breve e a lungo termine, perché rende le cellule dell’organismo più sensibili all’azione dell’ormone e aumenta la capacità dei muscoli di assorbire il glucosio, abbassando la glicemia. Inoltre, l’attività fisica fornisce una modalità alternativa di ingresso del glucosio nelle cellule del tessuto muscolare, riducendo la loro dipendenza dall’insulina per soddisfare il fabbisogno energetico, e permettendo così un migliore controllo della glicemia.
Secondo le indicazioni delle linee guida, per prevenire il prediabete e la sua evoluzione verso il diabete è sufficiente dedicare almeno 20-30 minuti al giorno (o 150 minuti alla settimana) a un’attività fisica di intensità moderata, come per esempio la camminata veloce.
L’altro intervento di fondamentale importanza per contrastare l’insulino-resistenza e il prediabete è la perdita di peso in eccesso. Il dimagrimento anche contenuto porta grandi benefici nelle persone sovrappeso: perdere una percentuale compresa tra il 5 e il 10% del proprio peso può ridurre anche del 60% il rischio di sviluppare diabete di tipo 2.
Ma come dimagrire? Esiste una dieta più efficace delle altre? In generale, è opportuno seguire un regime alimentare bilanciato in tutti i pasti principali (colazione, pranzo e cena), con abbondante apporto di fibre vegetali, contenuto ridotto di grassi saturi e di carboidrati, come per esempio la dieta mediterranea. In particolare, le diete a basso contenuto di carboidrati possono aiutare a contrastare l’insulino-resistenza.
È però importante evitare il fai da te, seguendo regimi alimentari per i quali non ci sono prove di efficacia (per esempio la dieta a zona) e che possono portare più danni che benefici. È opportuno, invece, rivolgersi a un nutrizionista per impostare la dieta più adatta alla propria condizione, evitando sbilanciamenti che possono portare a un’altra condizione potenzialmente pericolosa, l’ipoglicemia, cioè una concentrazione di glucosio nel sangue più bassa del normale.
Fonti:
1. National Institute of Diabetes and Digestive and Kidney Diseases (NIDDK). Insulin Resistance & Prediabetes. https://www.niddk.nih.gov/health-information/diabetes/overview/what-is-diabetes/prediabetes-insulin-resistance
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